Il ruolo del Gruppo e la Socialità in Natura

Il seguente articolo è tratto da uno dei capitoli conclusivi del Saggio di Damiano Tullio,  "Dalla Roccia al Samadhi, tecniche antropologico esistenziali in natura", raccoglie alcune riflessioni sull'importanza del gruppo durante lo svolgimento di attività in natura.

Prima di ogni esperienza da noi proposta consigliamo sempre la lettura di questo brevissimo compendio. Ci siamo inoltre presi la briga di allegare l'intera bibliografia dei riferimenti che di solito vengono affrontati durante i nostri ritiri SILENTIUM.

Vi auguriamo una buona lettura.

 Il Gruppo

Leggendo le pagine sino ad ora trattate  sono più volte ricorso alla parola individuo in quanto singolo, riferendomi al soggetto che pratica attività filosofico esistenziali in natura; credo sia doveroso in conclusione aprire una piccola parentesi in merito ai rapporti di reciprocità ed amicizia che vanno a formarsi fra chi vive e condivide un certo tipo di esperienze.

Qualcosa accomuna sicuramente chi decide di avvicinarsi alla natura e alle attività che in essa si possono svolgere, appartenenti a contesti culturali e classi sociali molto distanti fra loro, persone  a volte molto diverse tra loro stringono dei legami e dei sodalizi saldi ed indissolubili. Un concetto già sviluppato dal sociologo francese  Michel Maffesoli, che vede in sodalizi di questo tipo una sorta di neotribalismo in cui, individui molto diversi fra loro cooperano in attività microsociali  alle quali viene attribuito un profondo significato[1].

Tali legami si sviluppano in seno alla forza di una passione condivisa, vivere  esperienze di una certa intensità crea dei legami inscindibili che superano differenze che possono creare dei solchi profondi in città. La natura è democratica fondamentalmente perché davanti ad essa non conta, niente, nessuno. Siamo immensamente piccoli, non si giudica l’altro per i vestiti che porta o per il ruolo di leadership che ha in una determinata azienda, ma lo si apprezza per l’entusiasmo ed il coraggio con i quali muove i suoi passi nel verde.

“La felicità è reale solo se condivisa”, una delle ultime testimonianze scritte di Chris McCandless , viaggiatore e trapper morto per avvelenamento da neurotossina ODAP mangiando piante selvatiche[2]. Le avventure di Chris raccontate da Jon Krakauer nel romanzo “Into the wild”, sono in parte analoghe ai temi affrontati in questa tesi, tuttavia mancano due  due punti essenziali  per renderle effettivamente  costruttive per l’individuo, il primo riguarda senza dubbio la preparazione e la responsabilità di cui abbiamo già discusso ampiamente[3]. Ma il punto sul quale intendo focalizzare questa riflessione è quello della condivisione, purtroppo Chris soltanto in punto di morte comprende quanto sia importante il valore dell’amicizia e della presenza di un compagno con il quale esperire e gioire delle consapevolezze raggiunte e al contempo dividere l’onere delle difficoltà.

Bonatti il più grande alpinista di tutti i tempi compie imprese titaniche in solitaria, ma i suoi lati più umani e profondi li ritroviamo quando scrive dei suoi compagni. Salvando la vita a  Pierre Mazeaud  nella tragedia Pilone Centrale del Freney in cui morirono quattro fra i più celebri alpinisti dell’epoca, nacque fra i due una amicizia indissolubile e fraterna; prima di questa disavventura i due erano praticamente sconosciuti, da quel giorno rimasero in contatto costante per cinquant’anni fino al giorno della morte di Bonatti[4].

Credo sia opportuno parlare di un vero e proprio imprinting in questi casi, la bellezza, la difficoltà, la passione e anche la paura che si condividono in certe situazioni nella maggior parte dei casi sigillano un rapporto fra le persone.  Non si tratta solo di una vena romantica e e poetica anzi ci sono delle componenti assolutamente pratiche in questo, quando si svolgono certe attività fra gli individui si abbattono una serie di muri, in primo luogo i pudori. Un esempio banalissimo riguarda l’espletazione delle proprie funzioni corporali  (immaginate fare questo appesi ad una corda entrambi nel ristretto spazio di un terrazzino roccioso di un metro quadro) o il dover accettare l’odore di una persona che suda per ore al nostro fianco durante la salita, ci mostriamo per quello che siamo, in una primitiva purezza, e questo senso di onestà, verso l’altro può soltanto unirci, ampliando le nostro raggio di rapporti amicali[5].

Quando si stringono rapporti di questo tipo è possibile che ci si frequenti soltanto in determinati contesti ed in circostanze, ma ogni volta l’uomo o la donna al vostro fianco saranno quelli con cui avete condiviso una determinata avventura o disavventura, e per questo sono parte integrante del nostro essere, perché cosa siamo noi se non il frutto delle nostre esperienze che ci hanno formato, costruito ed arricchito con tutte le loro possibili connotazioni: positive e negative.

Il ritorno in società

L’alba si intravede fra i profili degli alberi, si stringono stretti i lacci delle scarpe e si mette lo zaino in spalla, che sia la prima volta o un rituale consueto, il punto di partenza è quello a cui occorre sempre far ritorno. Questa cerimonia avviene con una sola e semplice sicurezza, quella che al ritorno sapremo qualcosa in più su noi stessi, non importa quanto sia la durata della permanenza in un ambiente selvaggio o la difficoltà della particolare attività che si va a praticare, ogni luogo nuovo che scopriamo ci arricchisce e lascia in noi un segno indelebile.

Impariamo ogni volta un maggiore dettaglio sui profili degli uccelli in volo ed iniziamo a riconoscere le singole voci che emettono arrangiando una sinfonia in un bosco, le orme lasciate su in terreno fangoso ci raccontano che  una cerva ed il suo cerbiatto o una volpe sono passati da poco sul nostro stesso itinerario. La natura è un libro che ci svela ogni volta nuovi capitoli, e mentre leggiamo questo metaromanzo scopriamo con stupore che ne siamo noi stessi i protagonisti.

Ci sorprendiamo in questa lettura  più fiduciosi, o deboli, impariamo ad accettare le nostre paure e le nostre conquiste, riveliamo a noi stessi il nostro coraggio e la nostra ingenua capacità di commuoverci davanti ad un fiore o una cascata.

Alla fine di ogni cammino dunque si torna al parcheggio in cui è stata abbandonata l’automobile, l’ultimo baluardo della civiltà, e si è pronti per tornare alla vita orizzontale. Si rivolge l’ultimo sguardo ai profili degli alberi e delle montagne ed esausti si slacciano gli scarponi. Ogni volta mentre si va via si affaccia nei pensieri quella sottile malinconia, che ci fa domandare quando ritorneremo al mondo selvaggio. Da questo momento inizia l’elaborazione, quel lasso di tempo che separa un’avventura da un’altra.

Il ritorno in società rappresenta forse uno dei momenti più importanti di queste esperienze, esse vengono rielaborate con attenzione, nella memoria si rivivono dettagli e particolari magari trascurati mentre sono stati vissuti.

Quando si esperisce sul campo si assorbono come spugne sensazioni ed emozioni e si fissano nella mente, il lavoro interpretativo avviene dopo. Ci si rende conto quanto abbiamo fatto per noi stessi, quanta umanità abbiamo ritrovato in quei gesti arcaici ritmati solo dalla fatica e dalle voci della natura.

Per moltissme persone che praticano le varie attività enumerate in questo testo la fotografia riveste un valore simbolico importantissimo, essa permette di rivivere con attenzione i minimi dettagli delle esperienze vissute. Questo meccanismo di ricordo osservativo diventa una vera e propria terapia dell’essere degli appassionati a queste discipline, moltissime sono le testimonianze delle persone in momenti difficili della vita quotidiana, rifuggono in questi ricordi e ritrovando il loro equilibrio, magari guardando una piccola pigna che avevano usato proprio per fare l’esercizio meditativo del Trataka.

L’avventura che abbiamo trattato in questi capitoli dunque  vive  di tre momenti essenziali: la progettazione, la fase reale ed il ricordo, ed in ognuna di queste fasi l’individuo è completamente presente all’esperienza vissuta anche quando è seduto davanti al computer a studiare il tracciato del percorso che dovrà effettuare o nel riguardare le foto realizzate durante l’ultima uscita.  Per chi non ha vissuto questo tipo di esperienze sembrerà strano da credere, ma nella progettazione e nel ricordo, l’esperienza esistenziale è talmente forte che si rivivono anche dal punto di vista fisico alcune emozioni, riporto qui una breve testimonianza  di Giorgia 35 anni :

“durante il lavoro capita di avere delle lunghe pause, alcune volte  porto con me qualche guida di trekking o arrampicata dove magari ci sono posti in cui non sono mai stata o vie di salita nuova che vorrei realizzare, mentre leggo  le descrizioni degli itinerari  e degli ambienti, mi inizio ad emozionare, cerco di muovermi con l’immaginazione nei dettagli della roccia o degli alberi, sorrido mi inizia a battere il cuore e mi sudano le mani, magari manca qualche giorno, ma con la mente sono già li. In questo modo vivo con passione e bellezza il mio presente, alimentata da una passione ed un amore profondo per la natura, sento di essere fortunata, questo mi da una grande forza e la voglia di sperare sempre.”

In queste brevissime righe è inevitabile scorgere l’ethos della trascendenza, quel senso che da valore all’esistenza di un individuo;  in un’epoca di pessimismo ed instabilità leggere un messaggio positivo  di speranza sembra capovolgere completamente il panorama che i media, il mondo politico e l’informazione vogliono darci. Esiste ancora chi è disposto a sognare alla ricerca di qualcosa di puro ed essenziale, svincolato dalla necessità di autoaffermarsi con il successo e l’apparenza per aderire ad un modello costituito.  Il ritorno in società per noi che viviamo nella natura dunque è quell’istante in cui convivono ricordo e pianificazione, è la nostra “Scelta” di sognare e pianificare che ci permette di apprezzare ogni giorno il presente, e gioire ogni giorno  per ciò che abbiamo vissuto ieri e ciò che riserva il domani.

Bibliografia

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[1] Maffesoli. M, Il tempo delle tribù. Il declino dell'individualismo nelle società postmoderne, Guerini e Associati, 2004.

[2]trapper erano dei cacciatori ed esploratori che percorrevano le Montagne Rocciose nella seconda metà del XVIII secolo. Il lemma di lingua inglese è riferito a coloro che svolgevano l'attività di caccia ad animali selvatici ponendo trappole (animal trapping) per catturarli. La cultura dei trapper è stata ripresa da cacciatori ed avventurieri dalla seconda metà del secolo scorso.

[3] Krakauer. J, Nelle terre estreme, Rizzoli, Milano, 1997.

[4] Bonatti. W, Montagne di una vita, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2009.

[5] Krakauer. J, Dove gli uomini diventano Eroi, Corbaccio, Milano, 2010.