Lo Yoga è morto davvero? in bilico fra ottimismo e postmodernità

Lo yoga è morto davvero?

Risposta a Dejanira Bada.

In questi giorni mi sono imbattuto più volte in un bellissimo articolo scritto da Dejanira Bada ( link : http://www.pangea.news/lo-yoga-e-morto-da-un-pezzo-ecco-come-funziona-un-mondo-pieno-di-finti-santoni-di-ignoranza-suprema-ma-dove-girano-tanti-soldi/?fbclid=IwAR1WoCYRxGZRHTgBIaGLUY4NYDNP8W3vi0ACUOqQcq6izQgc313yxU-BT_U )

in cui vengono elencate una serie di problematiche riguardanti lo yoga contemporaneo.  Sicuramente una riflessione che suscita degli interessanti interrogativi e meriterebbe  degli approfondimenti.

Per capire meglio il messaggio che voleva dare questo articolo devo ammettere di averlo letto almeno tre volte in momenti diversi per cercare di comprendere il mutare delle mie opinioni che all’inizio erano pienamente in linea con l’autrice e successivamente hanno suscitato  in me ulteriori interrogativi.

Spesso mi capita di riflettere su come sia cambiato il mondo dello Yoga negli ultimi 20 anni, non mi ritengo affatto un giovane come fanno molti quarantenni eppure il 1998 l’anno in cui mi sono avvicinato allo yoga mi sembra davvero un’altra epoca per quanto riguarda l’approccio a questa disciplina.

Ricordo ancora che alla mia terza lezione il mio maestro arrivò con un pacco di dispense che contenevano alcuni passi del Mahabarata e moltissimi Mantra dicendomi che il mio yoga sarebbe partito da li, che non avrei mai capito la mia pratica se prima non avessi conosciuto le avventure del principe Arjuna.

All’epoca ero al primo anno di università, percorso che poi mi avrebbe condotto ad essere un Antropologo e proprio qualche mese prima per un esame di storia delle religioni avevo letto  “Lo Yoga “ di Myrcea Eliade, quindi concetti come Prakriti, Purusha,  Ashtanga, Guna e Klesha non mi erano nuovi.

Avevo compreso insomma che lo yoga era quello strumento che ci permetteva di perforare questo mondo illusorio per entrare a contatto con una visione più vera dell’universo.

Il maestro ci parlava tanto di filosofia, alternando nozioni di questo tipo alle Asana più disparate, in una atmosfera di condivisione ed unione ci insegnò a suo modo a “trovare l’alba dentro l’imbrunire”.

Lo yoga non era assolutamente un business a quei tempi, ed il nostro maestro veniva due volte a settimana nel nostro quartiere distante qualche chilometro dal suo centro per insegnare in un freddo teatro di una scuola elementare, perché la sua era una missione, la volontà di condividere una reale esperienza di vita e conoscenza.

È chiaro che facendo un paragone fra questo piccolo mondo antico e lo yoga contemporaneo emergono delle profonde discrepanze e qui farò una breve lista in cui analizzerò alcuni pro e contro di questa modernità:

INSTAGRAM :

 Il modo di usare questo social sta completamente cambiando il mondo anche dal punto di vista commerciale, chi meglio riesce a rendersi visibile, meglio riuscirà ad avere un numeroso seguito.

Non ho una visione completamente  negativa di certi strumenti perché purtroppo anche lo yoga ha bisogno di tenersi al passo con i tempi.  Possiamo tranquillamente scordarci i tempi in cui era il maestro che  sceglieva i suoi allievi  creando una ristretta cerchia di praticanti fedeli.

Oggi  è chiaro che anche fra le persone meno avvezze alle tematiche riguardanti la spiritualità e la filosofia ci sia una reale ricerca escatologica come risposta a quello che è il pessimismo derivato dalla ormai comprovata caduta dei valori occidentali.

Risulta quindi evidente che una fetta sempre più ampia del mercato sia interessata a pratiche di crescita individuale come lo yoga.

Non vedo quindi nulla di male nella diffusione  dal punto di vista mediatico dello yoga  e in una esponenziale nascita di centri  e  di persone che promuovono il loro lavoro attraverso i social.

Sono convinto che nonostante stia diventando un fenomeno di marketing lo yoga conservi nella sua millenaria saggezza dei grandi insegnamenti di vita anche dove un insegnante è scarso nel trasmettere tali saperi e l’allievo nel recepirli, essi possono essere un primo passo per la crescita spirituale del singolo individuo.

Ciò che considero davvero aberrante di questi media è il costante ed ossessivo bombardamento di foto di Asana più o meno difficili da parte di molti praticanti che siano insegnanti o studenti.

Se lo yoga consta davvero nel “Citta Vritti Nirodha”  o meglio come cessazione delle attività psichiche,  alzarsi e farsi un autoscatto durante una pratica è mio avviso il principio opposto di quello che si sta facendo

Questo è chiaramente un controsenso, proprio perché viene dedicata una eccessiva attenzione all’aspetto ginnico della pratica che in realtà tengo a ricordare è solo uno degli otto stadi fondamentali dello yoga.

TT:

A Roma c’è un celebre detto secondo il quale “Chi sa, Fa…. Chi non sa insegna”,  essendo fondamentalmente un radicale ammetto di aver pensato molte volte che questa fosse una verità universale.

Ma conoscendo ormai da anni moltissimi insegnanti diversissimi tra loro mi rendo conto che questo sia un mito da sfatare, non esiste l’insegnante sbagliato, esiste la pratica adatta o meno per il singolo individuo.

Dal punto di vista filosofico mi rendo conto di essere un integralista dell’aspetto antropologico e storico della tradizione yogica, ma occorre anche fare un passo indietro alcune volte  e magari considerare che questo approccio non è adatto a tutti , non tutte le persone sono portate ad accedere ad un certo tipo di insegnamenti , spesso hanno bisogno di un percorso più pratico e diretto anche semplicemente fisico per comprendere che dietro tanto movimento è celato un più vasto mondo di saperi esoterici;  sposo quindi la filosofia di Lao Tsu

“realizza il grande dal suo piccolo”.

Per molti è necessario prima esplorare l’aspetto superficiale anche semplicemente ginnico dello yoga per riuscire ad approdare alla sua reale profondità.

Uno degli insegnamenti dello Yoga è l’umiltà e in un certo modo  mi piace ricondurne alcuni aspetti  alla Epoché come forma di sospensione del giudizio. Proprio per questo non credo sia corretto stilare una tipologia di insegnanti di Serie A e Serie B, credo nel potere della condivisione e nella capacità di saper trasmettere valori oltre quello che può essere un mero foglio di carta su cui è inciso un logo ed un nome e cognome.

Tanto meno credo nel valore assoluto dei Corsi di Formazione, ci sono moltissimi praticanti con una conoscenza universale dello yoga che per uno spirito di profonda autocritica e umiltà hanno scelto di non accedere a nessun tipo di formazione proprio perché non credono a certi metodi.

Formarsi è importante e necessario, ma credo sia molto più importante prima dell’insegnamento metabolizzare lo yoga nella propria condotta esistenziale abbracciando a pieno i valori del Karma Yoga, cercando di ridimensionare il proprio Ego per evitare che questo possa influenzare la nostra pratica e impartire visioni fuorvianti di questa disciplina agli allievi.

Senza una costante autocritica e disciplina quotidiana non è possibile essere dei riferimenti per altre persone, tuttavia essendo soltanto esseri umani siamo qui su questa terra per commettere errori e farne tesoro per ambire ad una ipotetica crescita e miglioramento sul piano psichico e spirituale.

EGO:

Ogni  proiezione egoica è nemica dello yoga, ogni volta che un praticante si compiace della propria performance c’è un Bhagavad Gita che prende fuoco da qualche parte nel mondo.

 In un panorama dove tutto è basato sul raggiungimento di un obbiettivo capita troppo spesso che un praticante che riesce in una posizione impegnativa per la prima volta esulti per farsi vedere dalla classe.

Sono convinto che per molti casi sia una semplice manifestazione di gioia (criticabile se dovessimo seguire alla lettera gli insegnamenti di Krishna ad arjuna) che conserva comunque in se un sentimento positivo, completamente diversa è invece la componente di autoaffermazione e autocelebrazione di molti.

Lo yoga è una disciplina introspettiva che in realtà ci conduce attraverso un processo di Enstasi ( cioè in viaggio attraverso il nostro profondo); praticare in relazione all’altro è sicuramente uno dei molti tranelli  che Patanjali definisce come Bhoga (cioè la volontà di soddisfare il proprio ego) che in realtà si verifica molto spesso a causa di una società competitiva e performativa dei giorni nostri.

MERCHANDISING:

Qualunque forma di brandizzazione di ciò che indossiamo è riconducibile sicuramente a un processo di auto identificazione, dal punto di vista antropologico riguarda l’aspetto fenomenologico della percezione del proprio corpo in relazione alla comunità di appartenenza.

Nelle società tribali il rito iniziatico in cui  durante i rituali venivano effettuati  tatuaggi, scarificazioni e altri tipi di modificazione corporea si operava in un certo senso per definire il proprio spazio culturale da quello dell’Altro.

 La tribù vicina era fatta di nemici perché rappresentavano una concorrenza sull’approvvigionamento delle risorse naturali presenti sul territorio,  e proprio da essa gli uomini dovevano distinguersi tra loro attraverso una auto rappresentazione esterna legata al corpo e all’abbigliamento.

Questo accadeva nel paleolitico come nell’india classica, così come avviene oggi fra i praticanti occidentali che si riconoscono per un top o un pantaloncino di marca.

Per quanto a mio avviso sia criticabile un certo approccio eccessivamente consumista in relazione allo yoga, da sempre l’uomo ha avuto bisogno di autorapprensentarsi per riconoscersi con gli appartenenti della sua stessa comunità, come necessità di definirsi ed esistere.

CHALLENGE:

Il discorso delle Challenge spesso lanciate su Instagram sono riconducibili ai punti che ho già trattato che in particolare vanno ad investire l’aspetto egoico del praticante, andando inoltre a creare un confine fra performance e competitività  senza precedenti storici in questa disciplina.

Credo sia fondamentale ricordare che il fine ultimo dello yoga è il raggiungimento del Samadhi come condizione psichica dello spegnimento delle attività del pensiero.

 Il miglior praticante è colui che riesce ad entrare più profondamente in contatto con se stesso e questo è impossibile da stabilire attraverso una competizione, a meno che con le moderne tecnologie i giudici possano un giorno entrare nel nostro cervello e vedere cosa stiamo pensando.

Credo quindi che alimentare certi tipi di sfide sia una forma di mortificazione  nei confronti di questa nobile dottrina millenaria.

PSICOPOMPI:

Esiste poi la figura del Santone, colui che mira attraverso un certo potere carismatico a creare una corte di adepti che seguono i suoi insegnamenti.

Li dove vengono impartiti valori positivi e sono chiaramente tracciati i limiti e la fallibilità del maestro non credo ci sia nulla di male, anzi ci sono moltissimi insegnati carismatici che possono aiutare l’evoluzione dei propri allievi nei momenti più difficili.

Tuttavia da antropologo che lavora in abito terapeutico credo sia essenziale e necessario tracciare un limite fra le competenze del Maestro Yoga ed un terapeuta;  esistono moltissime subdole patologie dell’anima che i non addetti ai lavori possono sottovalutare, ed in moltissimi casi dove c’è un disagio di carattere psichico ed esistenziale l’insegnante dovrebbe essere così onesto da saper definire le proprie competenze e limiti ed essere in grado di indirizzare il proprio allievo verso professionisti del settore.

Vorrei inoltre sottolineare che non tutte le pratiche yoga sono adatte  a chiunque, alcune particolari tecniche di respirazione possono più facilmente indurre stati di ansia e panico, una componente molto spesso troppo sottovalutata.

ESTEROFILIA E ORIENTALISMO:

è chiaro che l’Occidente vive una crisi di valori, una società in crisi in cui il precariato sviluppa un continuo senso di pericolo all’interno della mente delle masse. Mai come oggi l’uomo ha avuto una chiara necessità di spiritualità.

Nelle società tradizionali l’uomo si relazionava con il mondo attraverso uno schema simbolico spirituale, e questo accadeva anche in occidente fino alla prima metà del secolo scorso, poi per cambiamenti nel substrato sociale e l’avvento di un sempre più radicale razionalismo scientifico l’uomo occidentale ha completamente demolito le fondamenta di tutti i templi delle divinità in cui ha creduto per millenni credendo di essersi sostituito ad essi.

Abbiamo rifiutato la Chiesa ed ogni forma di potere da essa rappresentata, ma poi davanti alla vita e alla morte l’uomo si è trovato nuovamente inerme, privo di un riferimento di carattere filosofico/spirituale.

 Così negando le proprie radici culturali la New Age ha portato tante pratiche e tradizioni in Europa, alcune molto  valide dal punto di vista etico/filosofico come lo yoga, altre discutibili in quanto figlie di un sincretismo post moderno di miti e religioni e dottrine riadattate a nostro piacimento.

Se dovesse leggere questo articolo qualcuno che non ha mai praticato yoga per meglio comprendere questa dottrina prima di avvicinarsi alle Upanishad, ai Sutra o al Mahabarata consiglierei prima tipi di letture completamente diverse.

È possibile infatti capire meglio lo yoga se prima ci si avvicina in punta di piedi alla nostra filosofia occidentale partendo dagli Antichi Greci  e alla visione che avevano gli antichi filosofi verso la pratica del gimnosofismo, consiglierei di leggere con passione il misiticismo medioevale: San Francesco, Meister Echart, Plotino e poi Kant, Hegel e Heidegger, troveranno sicuramente molto più yoga in questi autori che in tutte le verticali che potranno fare sul tappetino o nei mantra che ripeteranno ossessivamente senza capirne il reale contenuto.

In Conclusione

Credo che trattare un aspetto fenomenologico così vasto richiederebbe la stesura di un intero saggio che potesse analizzare la nascita e la decadenza dello yoga nell’Occidente contemporaneo.

Ma credo tutta via che questo possa essere un buon punto di partenza per farci delle domande relative soprattutto a ciò che rappresenta lo Yoga per noi singoli individui in questo particolare momento della nostra vita.

Ringrazio Dejanira Bada per avermi fornito un interessantissimo spunto per farmi riflettere e mettermi in discussione in primis con me stesso.

In Antropologia come nello Yoga continuerò ad insegnare come insegnarono a me  i miei maestri rispettando un approccio tradizionale e conservando sempre con devozione i valori che mi sono stati trasmessi.

Mi sento sinceramente di dire che lo yoga si è profondamente trasformato ma non credo che sia morto.

Lo Yoga Vive!

Nonostante tutto essere ottimista verso questa nuova era, credo infatti che ci siano moltissime persone che in questo ambito quotidianamente investono tempo, coraggio e sudore per trasmettere tali valori, nonostante questo diventi giorno dopo giorno più difficile a causa di questo mondo contemporaneo e globalizzato che a differenza dello yoga non vive il presente ma è già proiettato verso il  caotico futuro (dopotutto siamo nel Kaliyuga).

Credo inoltre che dall’altra parte ci siano tanti allievi ancora assetati di sapere capaci di ascoltare e saper mettere da parte il proprio ego quando occorre.

Ogni mia speranza e gratitudine va a quelli che sono stati i miei maestri, a quelli che ho vissuto e a quelli che sono arrivati a me soltanto tramite scritti; è mio maestro il pastore che mi parla del suo gregge quando vado in montagna, come è maestra la montagna ogni volta che mi rifiuta, sono maestri i miei allievi quando mi spiazzano con domande alle quali alcune volte non so rispondere, sono i miei più grandi maestri i miei limiti che quotidianamente mi ricordano della mia effimera impermanenza su questa terra.

Ecco perché credo che lo yoga non sia morto.